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Si narra che in certe giornate di pioggia, nei fitti boschi che ricoprono le pendici dell’Alben, può capitare di sentire il pianto inconsolabile di un bambino, accompagnato dalla lamentosa ninna nanna della sua mamma, che cerca invano di farlo addormentare. Secondo qualcuno, il fenomeno ha una precisa spiegazione e si riferisce a un tragico episodio di parecchi anni fa, al tempo in cui non pochi abitanti di Serina e dei paesi limitrofi campavano facendo il boscaiolo o il carbonaio. Uno di questi viveva con la moglie e il figlioletto in una baita posta nel sito detto Caàgna róta. Era un individuo irascibile e violento, un attaccabrighe sempre pronto a passare a vie di fatto con chiunque e specie con la moglie, e non era per niente tenero nemmeno col bambino. Madre e figlio erano tranquilli solo quando il taglialegna era fuori, alle prese con robusti alberi da abbattere e da ridurre in ceppi minuti, atti ad alimentare il grosso poiàt che fumava senza sosta al centro della piatta aiàl situata nei pressi della baita. Dovendo tenere costantemente d’occhio il poiàt, per alimentarlo con nuovi ceppi o regolare l’intensità della combustione, aprendo o chiudendo ad arte i fori del tiraggio praticati nello spesso strato di fango secco che rivestiva la catasta, il carbonaio non poteva starsene a lungo nella baita, neppure di notte, ma vi entrava solo per mangiare, rimproverando aspramente la moglie se il cibo non era pronto o non era di suo gradimento.

Nemmeno i momenti per il riposo erano frequenti, così, tra alberi abbattuti e ceppi da spaccare e ridurre in carbone, il poveruomo era sempre stanco e scontento. Guai a disturbarlo quando si appisolava, appoggiando la testa sulla tavola, subito dopo aver divorato una fetta di polenta e stracchino e tracannato un paio di bicchieri di vino! Capitò che una sera, tornato a baita al termine di una giornata piovosa che l’aveva fatto dannare, tra lampi e tuoni, senza consentirgli di concludere un gran che, invece della solita cena pronta in tavola, trovò la moglie intenta a cullare il bambino che si lamentava e piangeva in preda a forti dolori di pancia. È a questo punto che la storia assume toni grotteschi e truculenti, mostrandoci la folle natura di un uomo che, per la verità, non trova rispondenza in generazioni di operosi montanari brembani. Per farla breve, si racconta che il boscaiolo, stanco e affamato e irritato perché la moglie non gli prestava attenzione e il figlioletto lo infastidiva con il suo pianto incessante, fu assalito da una collera incontrollabile: non più padrone di sé, abbrancò il bambino, uscì fuori dalla baita urlando, corse fino all’aiàl e lo infilò nella bocca del poiàt, facendolo bruciare tra orribili tormenti. Quindi prese la moglie che gli si era avventata contro urlante, nel vano tentativo di impedirgli questo gesto efferato, e scaraventò anche lei nel poiàt. Consumato l’orrendo duplice delitto e resosi conto della gravità del suo gesto, si diede a correre nel bosco, urlando e invocando il nome della moglie e del figlio. Lo trovarono alcuni giorni dopo le guardie inviate alla sua ricerca, morto sfracellato in fondo a un dirupo. Ecco quindi che anche la montagna, come commossa dall’atroce scena a cui aveva assistito impotente, sembra aver serbato il ricordo del dolore di una mamma e del suo bambino, facendo riecheggiare nei secoli le loro voci disperate.

Tratto da Storie e leggende della Bergamasca di Wanda Taufer e Tarcisio Bottani – Ferrari, Clusone, 2001